
Nel cuore pulsante del tango argentino, nessun nome risuona con maggiore affetto e rispetto di Aníbal Carmelo Troilo, meglio conosciuto come “Pichuco”. Nato a Buenos Aires il 11 luglio 1914 e scomparso il 18 maggio 1975, Troilo non fu solo un maestro del bandoneón, ma anche un compositore raffinato, direttore d’orchestra e simbolo della Buenos Aires più autentica e malinconica. Il suo contributo ha scolpito un’epoca d’oro nella storia del tango e ha lasciato un’impronta indelebile nella musica popolare argentina.
L’inizio di un destino: il giovane Troilo
Troilo crebbe nel quartiere di Abasto, una zona popolare di Buenos Aires ricca di fermento culturale, musica e storie di immigrati. Ricevette il suo primo bandoneón a soli 10 anni, acquistato dalla madre per 140 pesos. Da quel momento, il giovane Aníbal cominciò un viaggio musicale che lo avrebbe portato a diventare uno degli artisti più influenti dell’Argentina.
Fin da giovanissimo, mostrò un talento prodigioso e una sensibilità musicale fuori dal comune. A 11 anni formò il suo primo quartetto e presto iniziò a suonare in caffè, bar e milonghe della capitale. Nonostante la giovane età, era evidente che Pichuco possedeva un dono particolare: faceva parlare il bandoneón, trasformando ogni nota in emozione pura.
L’affermazione negli anni ’30 e ’40
Nel 1930, Troilo si unì all’orchestra di Juan Maglio “Pacho”, e in seguito collaborò con Julio de Caro, Juan d’Arienzo e Osvaldo Fresedo. Tuttavia, il grande salto arrivò nel 1937, quando formò la sua prima orchestra, una delle più celebri della storia del tango. Il debutto avvenne al cabaret Marabú, nel centro di Buenos Aires.
Con la sua orchestra, Troilo rivoluzionò il tango: trovò un equilibrio perfetto tra danza e ascolto, tra sentimento e tecnica. Le sue interpretazioni erano allo stesso tempo potenti e malinconiche, piene di lirismo e pathos. Alcune delle registrazioni più amate di Troilo risalgono a questo periodo, tra cui “Barrio de Tango”, “La Cumparsita” e “Sur”, con testi di Homero Manzi.
La collaborazione con i grandi poeti del tango
Uno degli aspetti più affascinanti del lavoro di Troilo fu la sua profonda collaborazione con i poeti del tango. In particolare, l’amicizia e la collaborazione con Homero Manzi e Cátulo Castillo diedero vita a capolavori senza tempo. Brani come “Sur”, “Barrio de Tango”, “Pa’ que bailen los muchachos” e “La última curda” fondono poesia e musica in una maniera unica, raggiungendo un’intensità emotiva che pochi altri compositori hanno saputo eguagliare.
Queste collaborazioni trasformarono Troilo da semplice esecutore a narratore dell’anima portegna. Le sue musiche, unite a versi struggenti e profondi, raccontano le notti di Buenos Aires, i suoi caffè, le sue perdite e nostalgie, l’amore e il tempo che passa.
La voce di Troilo: i cantanti dell’orchestra
Oltre ad essere un genio del bandoneón, Troilo aveva un eccezionale talento nello scegliere i cantanti per la sua orchestra. Uno dei più noti fu Francisco Fiorentino, con il quale creò un sodalizio leggendario tra il 1937 e il 1944. Insieme, realizzarono alcune delle registrazioni più iconiche della storia del tango.
Successivamente, la sua orchestra ospitò voci straordinarie come Edmundo Rivero, Floreal Ruiz, Raúl Berón e Roberto Goyeneche. Quest’ultimo, soprannominato “El Polaco”, divenne uno dei più fedeli interpreti del repertorio troiliano, dando voce a molte delle sue composizioni più toccanti.
Innovatore e tradizionalista: il Troilo moderno
Negli anni ’50 e ’60, quando il tango attraversava una fase di trasformazione e declino commerciale a causa dell’avvento del rock e della televisione, Troilo continuò a innovare pur mantenendo viva la tradizione orchestrale. In questo periodo si avvicinò anche al tango d’avanguardia, collaborando con Astor Piazzolla, che fu suo bandoneonista e arrangiatore tra il 1939 e il 1944.
Nonostante le divergenze stilistiche (Piazzolla guardava al futuro, Troilo alle radici), i due mantennero sempre un profondo rispetto reciproco. Piazzolla scrisse “Adiós Nonino” pensando anche al maestro Troilo, e quest’ultimo difese sempre il valore della sperimentazione nel tango, pur restando fedele alla propria estetica.
Il Troilo compositore
Oltre a essere un bandoneonista e direttore eccelso, Troilo fu anche un compositore sensibile e prolifico. Tra le sue opere più note si annoverano:
“Sur” (con Homero Manzi)
“La última curda” (con Cátulo Castillo)
“Che, bandoneón”
“María”
“Desencuentro”
Le sue composizioni affrontano spesso tematiche esistenziali: la solitudine, la memoria, la nostalgia e l’amore perduto. La sua scrittura musicale, sebbene mai troppo complessa, è profondamente emotiva e melodicamente ricchissima.
Un simbolo eterno del tango
Aníbal Troilo morì nel 1975, ma la sua figura rimane una leggenda vivente nella cultura argentina. Il suo bandoneón è oggi custodito al Museo Casa Carlos Gardel di Buenos Aires, e ogni anno, il 11 luglio, si celebra in Argentina la Giornata del Bandoneón in suo onore.
La musica di Troilo continua a essere ascoltata nelle milonghe di tutto il mondo, studiata da musicisti e apprezzata da nuove generazioni. Per molti, rappresenta la sintesi perfetta tra sentimento popolare e raffinatezza artistica. La sua arte ha attraversato le epoche senza perdere freschezza né autenticità.
Conclusione
Aníbal Troilo fu molto più di un musicista: fu un poeta del suono, un interprete dell’anima argentina, un uomo che seppe tradurre in musica le emozioni più profonde di un popolo. Con il suo bandoneón, riuscì a raccontare Buenos Aires in tutte le sue sfumature: le sue notti nebbiose, i suoi amori impossibili, i suoi bar di periferia, la sua malinconia eterna.
Oggi, il nome di Troilo resta inciso nella storia del tango come uno dei suoi più grandi maestri. E ogni volta che si ascolta il suono caldo e struggente di un bandoneón, in qualche modo, si sente ancora la voce di Pichuco, che continua a raccontare le storie senza tempo del Río de la Plata.